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Bologna/Culture e non cultura: dalla tolleranza all’inclusione
 


Nel corso del convegno "Bologna 2010 - Lo Spazio europeo dell'istruzione superiore: proposte per il futuro" ospitato il 15 settembre dall'Università di Bologna è stato affermato da più parti che il Processo di Bologna sta avendo un forte impatto anche fuori dall'Europa. I suoi obiettivi sono di interesse globale, come ha rilevato Stefania Giannini, Rettore dell'Università per stranieri di Perugia: uniformare i processi di studio, preparare una generazione mobile europea, concepire una formazione di respiro europeo. Educare a una comune coscienza europea significa partecipare attivamente alla politica estera di un paese, definendo valori e parametri non per contrasto, ma per confronto e scambio con chi è diverso da noi. Quando agli stessi diritti corrispondono gli stessi doveri, la diversità diventa un elemento di ricchezza per la cultura che lo accoglie. La dimensione europea dell'istruzione superiore è ormai una realtà, e il Processo di Bologna rappresenta la risposta alle esigenze delle singole istituzioni che seguono la corrente del cambiamento.
L'Europa non ha confini: la mancanza di frontiere naturali è stata la sua prima ricchezza - ha sostenuto l'ambasciatore Sergio Romano -, che le ha permesso di ampliare gli orizzonti accogliendo contaminazioni linguistiche, economiche e culturali dai paesi con cui è entrata in contatto, ricomponendole poi in una unità culturale europea. Anche oggi potremmo dire che l'unità dell'Europa è l'unica risposta possibile alla globalizzazione, perché nello scenario attuale considerare gli Stati nazionali secondo i vecchi parametri sembra un po' limitato.

In questo quadro, qual è il ruolo delle università? Non devono unificare la cultura dell'Europa, ma possono portare a una cultura condivisa preservando nello stesso tempo il passato di un paese, la sua storia. La grande sfida da affrontare è proprio quella di formare le generazioni future in uno scenario aperto, dove mantenere le diversità culturali coniugandole tra loro. Ecco quindi il ruolo dell'inglese, una lingua franca che mette in comunicazione le persone in tutto il mondo. L'importante, come ha ben rilevato Giuseppe Silvestri, già rettore dell'Università di Palermo e membro del Board dell'EUA - European University Association) non è l'accento oxfordiano, ma la capacità di capire e farsi capire: annullare le distanze linguistiche è il primo passo per smettere di ragionare in termini di tolleranza e lasciare il posto all'inclusione.
Come ha sottolineato Joseph Mifsud, Presidente dell'EMUNI - Euro-Mediterranean University, bisogna ragionare in altri termini, ovvero parlare di culture e non di cultura. Bisogna entrare nelle coscienze, non solo sugli scaffali delle biblioteche: questo è ciò che modifica la mentalità e la arricchisce. In questo senso potremmo parlare di circolazione dei cervelli, anziché di fuga, un fenomeno in cui giocano un ruolo importante la qualità della formazione e la consapevolezza di chi si vuole preparare e per cosa: perciò sarebbe auspicabile una maggiore apertura alle richieste della società, perché l'università deve comunque rispondere ai bisogni che questa manifesta. Secondo il prof. Silvestri, il mondo accademico e quello economico dovrebbero dialogare e agire insieme: in Italia, ad esempio, le<
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