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WTO-GATS: l'istruzione, bene sociale o bene economico?
Organismi internazionali
 


Un interessante volume di Antoni Verger, WTO/GATS and global politics of higher education analizza gli effetti prodotti in ambito educativo dal General Agreement on Trade in Services - GATS (promosso nel 1995 dalla World Trade Organization - WTO) - che ha introdotto anche l'istruzione tra i beni economici da promuovere con il libero commercio e da regolare in un flusso economico globale.

L'indagine offre uno strumento di riflessione per inserirsi nel dibattito mondiale in atto tra coloro che enfatizzano l'ambito formativo come diritto umano fondamentale e quelli che lo considerano più semplicemente un'impresa di esportazione, capace di significativi ritorni economici dalla vendita dei servizi educativi all'estero. ? pur vero che al giorno d'oggi le università, diventate esse stesse oggetto e prodotto dell'economia, sono amministrate come aziende private e molte attività transnazionali non differiscono molto da quelle tipiche delle aziende inserite nel mercato globale: creano propri campus all'estero, condividono attività commerciali e realizzano export oltre i confini nazionali, rilasciano titoli riconosciuti in altri Paesi e impiegano docenti e ricercatori internazionali.

Il GATS è divenuto dunque uno strumento legale di libero commercio in campo educativo, capace di stabilire regole in grado di condizionare le procedure attinenti al futuro formativo dei giovani. Nell'interscambio universitario viene sottolineato e dato impulso a una nuova logica di competitività commerciale ben diversa dal concetto di internazionalizzazione, tradizionalmente basato sulla cooperazione e sullo scambio culturale a vantaggio del posizionamento del neoliberismo nell'agenda internazionale.

Non sono poche le perplessità che hanno accompagnato l'ingresso del GATS sulla scena educativa. Atteso che le disuguaglianze educative si traducono inevitabilmente in disuguaglianze reddituali dei singoli e conseguentemente dei Paesi di appartenenza, appare rischioso affidare il soddisfacimento della domanda di un bene così particolare qual è l'istruzione, a una politica fatta di prezzi e profitti, non in grado di assicurare l'equità educativa degli accessi e la qualità del servizio offerto.  Anche se gli accordi GATS non sono obbligatori e i Paesi membri sono liberi di decidere se adottarli o meno, esiste il pericolo non trascurabile della cessione di un significativo grado di autonomia e sovranità nazionali in campo educativo al WTO, che potrebbe adattarli soprattutto agli interessi delle aziende, contribuendo anche al rafforzamento del brain drain.  Significativo appare, infine, il fatto che la competenza di stipula degli accordi GATS esoneri i ministri dell'Istruzione e riguardi quelli del Lavoro, generalmente più propensi a utilizzare l'istruzione come moneta di scambio da spendere per l'espansione commerciale all'estero piuttosto che come elemento imprescindibile di sviluppo umano.  



Maria Luisa Marino
(novembre 2013)

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