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Negli ultimi tempi il dibattito sulla riforma universitaria varata dal ministro Gelmini ha riacceso l’attenzione su un argomento da sempre centrale, il merito. Sia i sostenitori sia i detrattori del merito difendono una logica di giustizia sociale, “retributiva” in un caso e “redistributiva” nell’altro. Riducendo il discorso ai minimi termini e semplificando alcune complesse argomentazioni filosofiche, che possono essere approfondite in altra sede, possiamo dire che c’è chi ritiene che il merito consenta a chiunque – indipendentemente dalle origini – di emergere purché ne abbia le capacità e s’impegni sufficientemente, e c’è chi afferma che una società puramente meritocratica sia utopica perché le condizioni di partenza non sono mai uguali. Secondo questi ultimi, inoltre, una società basata sul merito è necessariamente ingiusta perché tende a premiare pochi e a sfavorire molti.
Il merito è dunque un argomento che non cessa di dar luogo a interpretazioni estreme, che sono tanto più ideologiche quanto più vorrebbero mostrarsi attente alla reale fenomenologia dei processi educativi. Sebbene la riflessione su questo tema sia stata proposta molte volte, anche da molteplici punti di vista (politico, economico, sociologico, pedagogico), il problema è che pochi “entrano nel merito” – per utilizzare l’accezione giuridica del termine.
[...] (Continua a leggere in Universitas n. 120, p. 4)
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