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Gli incentivi fiscali per il rientro di lavoratori e ricercatori italiani all’estero: commenti
 


Luigi Filippini, docente di Economia politica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: "Perché è importante il rientro dei cervelli? Perché lo sviluppo di un Paese dipende anche dal capitale umano esistente (...). Date norme e risorse, perché il rientro dei cervelli non ha funzionato? A mio avviso anche per mancanza di flessibilità dello stato giuridico dei professori e dei ricercatori. (...) È evidente la rigidità della normativa in un contesto in cui la flessibilità è premiante. La possibilità che un professore o un ricercatore facciano parte a pieno titolo di un'università o di un centro di ricerca all'estero aiuta il trasferimento di conoscenze, di know how, il movimento di allievi. Cosa che allo stato attuale non è possibile. Di qui la necessità della riscrittura delle norme sullo stato giuridico, sull'incompatibilità e poi della compatibilità con il tempo pieno. In altri paesi, per esempio Gran Bretagna e Usa, questi aspetti sono superati".

(Fonte: Il Sole 24 Ore, 17 gennaio 2011)

 

Giovanni Marchesini, professore ordinario di Teoria dei sistemi presso l'Università degli Studi di Padova: "Le aziende, soprattutto le piccole e medie aziende che costituiscono il tessuto industriale di molte regioni, e del Veneto in particolare, assorbono pochi laureati, un numero irrisorio di dottori di ricerca e ritengono i ricercatori persone «troppo preparate» per svolgere le mansioni richieste dall'azienda. (...) Il nostro Paese ha bisogno di ricerca scientifica e di un numero maggiore di ricercatori, ma coloro che intendono avviarsi alla ricerca scientifica hanno di fronte uno scenario avvilente. La strada dei «cervelli» sarà sempre di più quella degli emigranti e, come si è visto, non è certo una legge per «il rientro dei cervelli» a indurre giovani affermati (e finanziati) all'estero a rientrare per fare ricerca in questo Paese".

(Fonte: Corriere di Verona, 1 febbraio 2011)

 

Paolo Quattrone e Carmelo Mazza, Professors presso la Business School di Madrid: "Apparteniamo a una generazione di accademici che hanno vissuto in prima persona il fenomeno del brain drain, cioè la «fuga di cervelli». (...) L'accademico viaggia da sempre: il problema è che oggi questo viaggio è unidirezionale e spesso senza ritorno, dall'Italia verso l'estero e non viceversa. Vale la pena sgomberare il campo da alcuni falsi miti. Il primo è che il brain drain dipenda esclusivamente dai meccanismi si selezione accademica e che basti modificare il sistema concorsuale per contrastarlo. (...) Il secondo falso mito è che il brain drain sia fisiologico e riguardi pochi cervelli in fuga. La nostra impressione è ben diversa e riteniamo che la dimensione del fenomeno ne abbia modificato la natura. Quando ci confrontiamo con gli amici rimasti in Italia, raccogliamo le loro frustrazioni e la mancanza di speranza per i figli ai quali fanno già studiare l'inglese perché possano formarsi e lavorare all'estero. Tale fenomeno, che definiamo body drain, interessa intere fasce di giovani della borghesia italiana medio-alta (e non solo); giovani che ormai lasciano l'Italia non soltanto per perfezionarsi all'estero dopo la laurea, ma anche prima, addirittura per completare gli studi liceali. Questo body drain si unisce a quello intra-nazionale e provoca l'abbandono di alcune aree del meridione da parte di intere generazioni che, nel momento della loro autonomia economica e massima propensione al consumo o all'imprenditorialità, sono già residenti altrove. (...) Il brain drain da fenomeno di èlite patinate diventa body drain ed elemento di distorsione del capitale sociale e umano di intere aree del Paese. (...) Noi pensiamo sia necessario un serio lavoro istituzionale diretto alla ridefinizione dell'identità di chi appartiene all'istituzione università come pure all'istituzione Paese".

(Fonte: Il Sole 24 Ore - Scuola, 3 febbraio

 

Stefania Giannini, rettore dell'Università per stranieri di Perugia: "Si diventa «lavoratori in fuga» quando la «patria per scelta» diventa «patria per obbligo» e il biglietto di ritorno sembra ormai inaccessibile. Si tratta, è evidente, di fenomeni distinti per genesi e natura. (...)L'Italia è un paese statico, sia in senso verticale (manca il ricambio generazionale) che orizzontale (cambiare sede e tipo di lavoro è inconsueto, difficile e rischioso). (...) L'Italia ha indici di squilibrio massimi fra domanda e offerta, in senso qualitativo e quantitativo. In sintesi, scarseggiano gli infermieri e gli idraulici, ma anche certi specialisti nel settore medico e ingegneristico, mentre si fa molta fatica ad assorbire, anche nel medio termine, le masse ingenti di laureati in discipline umanistiche e in scienze sociali. L'Italia, infine, è un paese ad alta e crescente densità d'immigrati (è l'unico dei grandi Stati europei con u tasso di immigrazione superiore al 5%). La variabile immigrazione è, quindi, strutturale e non congiunturale. (...) La sfida del futuro si giocherà sul terreno dell'istruzione e della specializzazione professionale degli stranieri, in sintonia con la domanda del proprio mercato del lavoro. Germania e Paesi bassi, Francia e Regno Unito (i paesi europei con più antica immigrazione) hanno investito nella formazione professionale per cittadini indigeni e stranieri, riequilibrando il rapporto fra domanda interna e offerta. Ma questa mossa resterebbe tattica, e quindi di corto respiro, se a essa non si accompagnasse una strategia di libera circolazione dei cervelli e di incentivazione dei percorsi di carriera per i giovani di talento. Attrarre cervelli e favorirne la circolazione nel libero spazio euro-mediterraneo della conoscenza è, insomma, un obiettivo ineludibile nel prossimo futuro. (...) Gli strumenti esistono, non vanno inventati. Si tratta solo di applicarli con coraggiosa lungimiranza: il prestito d'onore, il contratto d'adozione da parte delle imprese, gli stage finanziati poiché finalizzati all'assunzione".

(Fonte: Corriere dell'Umbria - Perugia, 14 gennaio)

 

Sulla legge che favorisce il rientro dei lavoratori e ricercatori in Italia, vedi l'articolo di Maria Luisa Marino in questo sito.

Universitas ha già affrontato il tema della "fuga dei cervelli" nel n. 86 della rivista (dicembre 2002).

 

Danilo Gentilozzi
(16 febbraio 2011)

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