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Equità nell’accesso: problema etico o economico?
Raffaella Cornacchini
 


L’equità nell’accesso agli studi universitari non deve essere considerata solo un problema di natura etica. Essa ha, al contrario, forti implicazioni di carattere socioeconomico, in quanto incide profondamente sulla struttura produttiva di un paese e sulla mobilità tra i vari strati della società.
Un’indagine effettuata nei paesi Ocse ha confermato, come del resto era da attendersi, che i giovani dei ceti economicamente svantaggiati hanno minori prospettive di giungere all’università rispetto ai loro coetanei più agiati. Questo non vuol dire tuttavia che non abbiano l’aspirazione a proseguire nella propria formazione: in Corea l’87% dei quindicenni appartenenti al quartile più povero della popolazione nutre la speranza di proseguire i propri studi oltre il ciclo secondario. Non tutti i desideri, però, si tramutano in realtà e dell’87% di potenziali matricole solo una parte ridotta riuscirà effettivamente  a frequentare gli studi superiori.
L’indagine dell’Ocse ha inoltre evidenziato, da parte dei governi nazionali, la maggiore consapevolezza dell’importanza di favorire la crescita del numero dei laureati a fronte della forte richiesta di figure professionali evolute. Nei prossimi 6-7 anni, ad esempio, Svezia e Gran Bretagna si prefiggono di portare agli studi universitari il 50% della “popolazione giovanile” (termine con cui gli svedesi indicano la fascia di giovani di età inferiore ai 25 anni, che salgono a 30 per gli inglesi), mentre l’Irlanda ha un obiettivo ancora più ambizioso: raggiungere quota 72%. Nella realtà la Svezia è già prossima al suo traguardo, la Gran Bretagna è al 43% e l’Irlanda, con il suo attuale 55% – peraltro un’ottima percentuale se paragonata a quella di altri Stati – ha ancora una certa strada da compiere.
Cifre a parte, un dato è certo: nei paesi in cui si registra una bassa partecipazione all’istruzione superiore si mira a espandere le possibilità generali di accesso; negli Stati ove la percentuale degli iscritti risulta già elevata il maggiore coinvolgimento si ottiene solo con l’apertura alle fasce sociali più svantaggiate alle quali l’accesso è in qualche modo precluso per motivi legati allo status socioeconomico oppure alla razza, lingua, religione, etnia, età, disabilità o genere.

La strategia dell’Aiu
Una strategia sull’argomento è stata formulata dall’Associazione Internazionale delle Università (Aiu). Essa si apre con l’esplicita dichiarazione che la formazione dei cittadini costituisce per un paese un «fondamento di equità sociale, di coesione e di incisiva partecipazione all’economia della conoscenza globale». L’incremento del numero di laureati non si ottiene però solo con una maggiore equità nell’accesso: essa è indispensabile, ma deve essere accompagnata dalla concreta possibilità di portare a compimento con successo l’iter formativo. Accesso e successo sono il binomio che garantisce lo sviluppo delle risorse umane di un paese, costituiscono fattori di coesione e di giustizia sociale e sono strumenti per conseguire lo sviluppo della propria persona e l’affermazione sul mercato del lavoro. Accesso e successo, in breve, sono garanzia di uno sviluppo sostenibile.
Per garantire l’equità nell’accesso occorre rimuovere le barriere – etniche, linguistiche, razziali, socioeconomiche e di qualunque altro genere – che precludono il diritto allo studio, ma occorre anche sganciarsi dagli esiti delle valutazioni conseguite nei cicli formativi pregressi a favore di metodiche di valutazione dell’effettivo potenziale dei ca
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